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Il territorio

 

Il territorio del Villaggio Dalmazia è situato nella zona sud di Novara. Al momento della costruzione del Villaggio sii trattava di un territorio ancora in gran parte agricolo, in cui erano presenti il nucleo abitativo della Cittadella e poche altre costruzioni. L’urbanizzazione avverrà solo successivamente tanto che, quando viene inaugurato il Villaggio Dalmazia, i profughi hanno la sensazione di essere staccati dal contesto urbano di Novara. I terreni appartengono in gran parte alla Fornace Bottacchi. Si tratta di una delle più antiche fabbriche novaresi: fondata nel 1770, si occupa della produzione di materiali per l’edilizia e decorazioni in terracotta e proprio in queste zone argillose trova la materia prima per la sua attività.

Fino al 1969, anno della chiusura della fabbrica, questi terreni sono percorsi da un trenino che porta dalle cave allo stabilimento, sito nella zona tra Viale Giulio Cesare e Viale Verdi, l’argilla indispensabile alla produzione dei laterizi. In molti è ancora vivo il ricordo di questo trenino, tanto che quando si decide di istituire un Palio che metta amichevolmente una contro l’altra le varie zone del Rione, si sceglie di chiamarlo “Palio della Fornace” e i concorrenti sono impegnati a correre con carriole che trasportano mattoni. La zona è periferica e non presenta particolari costruzioni di interesse artistico, tuttavia è stata coinvolta territorialmente nella Battaglia detta della “Bicocca” del 1849 e alcuni edifici e zone conservano il ricordo di questo evento. La cascina Rasario è una di questi edifici: antica cascina costruita alla fine del 1700 dallo stampatore Rasario e divenuta nel 1849 una delle sedi dell’esercito piemontese che combatteva contro gli austriaci, oggi è soggetta a vincolo quale “edificio rurale avente interesse storico” (D.lgs:42/2004).).

Altra zona di un certo interesse è il Vicolo della Balla: pur in parte snaturato da recenti interventi edilizi in quella che era la sua originale struttura architettonica, con piccoli edifici “di ringhiera” ricorda ancora nel nome la presenza di una “balla” di cannone della battaglia del 1849 incastrata nella facciata di una abitazione, oggi sciaguratamente abbattuta. Nel 1953 la prefettura sceglie questa zona della città per costruire il Villaggio Dalmazia, il cui progetto prevede di racchiudere, in uno spazio complessivo di sedici isolati, “302 alloggi per un totale di 1.108 vani” [L. Peteani, 1988], destinati ad accogliere 1.300 profughi. Il 20 agosto 1956 il Villaggio Dalmazia è ufficialmente inaugurato. La rimanente urbanizzazione è più recente: saranno costruite dapprima le villette tra la Cittadella e il Villaggio, poi i grandi complessi

condominiali di Via Monte San Gabriele e di Via Spreafico, il nucleo delle villette a schiera e delle palazzine tra il Villaggio, Via Mainero e la tangenziale ed infine i condomini della zona Piazza D’Armi. Attualmente il rione ospita anche un centro comunitario di quartiere, già sede del Quartiere Sud, ora in ristrutturazione. Più recentemente è stato edificato un centro di ricovero “i Tigli” per anziani con disabilità. Ormai non vi è più soluzione di continuità tra la città e il rione.

La vicenda dei profughi

Gli abitanti che per primi si sono stanziati al Villaggio provengono da zone molto diverse: Quarnaro, Romania, Grecia, Turchia, Libia, Tunisia, e persino Bulgaria e Ungheria. La maggior parte di loro, però, è originaria di Istria e Dalmazia. L’Istria ha sempre vissuto la presenza di popolazioni ed etnie diverse in un equilibrio delicato che si rompe quando, durante gli anni della occupazione da parte della dittatura fascista italiana, viene promossa una politica di italianizzazione a scapito della componente slava. Passata dopo l’8 settembre 1943 sotto l’amministrazione del Reich tedesco, nella primavera del 1945 viene occupata dalle truppe jugoslave di Tito, che inizia una eliminazione ed epurazione sistematica della popolazione italiana, accusata di essere avversa al suo regime. Si accentua da questo momento un vero e proprio esodo, già parzialmente iniziato nel 1943, che assume il carattere di una migrazione forzata e di una espulsione di massa della componente italiana della popolazione. Si calcola che a partire dal ’43 fino al ’56, circa 280.000/350.000 esuli siano giunti in Italia. Inizialmente sono accolti nei centri di raccolta e nei campi profughi, di solito edifici in disuso quali caserme, scuole, ospedali, conventi, talvolta addirittura ex campi di sterminio quali la Risiera di San Sabba a Trieste. In Piemonte vengono istituiti tre campi, a Torino, a Tortona e a Novara. La Caserma Perrone di Novara diventa centro di raccolta per profughi nel settembre del ’45. Tra il 1946 e il giugno del 1956, quando il campo chiude i battenti, ospita mediamente dalle 1000 alle 1100 persone. Gli enti assistenziali si occupano di corrispondere ai profughi sussidi in denaro, forniture alimentari e generi di prima necessità, tuttavia il disagio resta comunque grande. Le condizioni non sono certo ottimali: interi nuclei familiari sono ospitati in spazi ridotti, in situazioni di promiscuità e in condizioni igieniche precarie.  Nel campo sono presenti un’infermeria, un asilo, una scuola elementare e una cappella, oltre ad una serie di attività commerciali gestite dai profughi stessi. La vita quotidiana è scandita con grande precisione dalla Direzione del Campo. I profughi devono sottostare ad un regolamento rigido che prevede per ognuno compiti e turni per le varie attività. Non possono uscire la sera, se non con il permesso del Commissario e comunque il Campo chiude alle 23. Questo non facilita certo l’integrazione con gli abitanti della città! Nel ’52 un piano governativo di edilizia nazionale dà l’avvio alla edificazione di quartieri da destinare ai profughi. Si tratta in genere di strutture periferiche dislocate in aree scarsamente abitate delle città che avrebbero dovuto consentire alle famiglie ospitate il mantenimento di usi e tradizioni dei luoghi abbandonati. A Novara l’area scelta è quella della periferia sud, tra il rione Cittadella e il Torrion Quartara. Il 3 ottobre del ’54 viene posata la prima pietra del Villaggio Dalmazia.

 La Caserma Perrone

Dalla caserma Perrone Al Villaggio Dalmazia

Tutto nasce quando, nel 1956, si insediano nel Villaggio Dalmazia le famiglie dei profughi dell’Istria e Dalmazia e quelle “rimpatriate” dell’est europeo (Romania, Bulgaria, Grecia, Turchia, Tunisia, Grecia…) che erano state fino a quel momento ospiti del Centro di Raccolta situato nella Caserma Perrone. Se si parla con coloro che hanno vissuto questa esperienza, si ha l’immagine di una situazione precaria e disagiata. I nuclei familiari vivevano in spazi ristretti, a volte le camerate della caserma divise semplicemente da coperte che fungevano da pareti, con molti servizi in comune. È facile capire come la privacy non esistesse e come abitudini differenti fossero causa di tensioni tra le famiglie e i diversi gruppi. Una situazione che impedisce il crearsi di una vera comunità, perché le difficoltà della promiscuità hanno sovente il sopravvento anche sulla necessità di una solidarietà che aiuti tutte queste persone, sradicate dai loro luoghi d’origine e che si trovano a vivere in un ambiente, se non ostile, certo non molto accogliente. Dice Ausilia Zanghirella: «Per noi era bello essere tutti insieme, giocavamo, ci divertivamo!». E la stessa cosa sottolinea Giuliano Koten: «C’erano i giochi insieme, i canti, le suore che ci ricreavano una sorta di oratorio!». Le suore appunto! sono loro a cui si dev la prima attività pastorale tra i profughi. Suor Florida e Suor Maria Giacinta saranno figure importanti nella formazione di questa comunità. Suor Maria Giacinta è molto giovane quando viene inviata alla Caserma Perrone per quella che lei definisce una “esperienza di vita coi profughi”. «Io avevo appena finito il noviziato e molti dei profughi sono venuti a Mortara per accompagnarmi nel giorno della mia professione. Per loro, io e Suor Florida eravamo un punto di riferimento. Noi vivevamo con loro, condividendo in pieno la loro vita». Scriverà più tardi Elda Ghira «Ricordo le panche sotto i platani e loro curavano le nostre bambine nel ricamo, nei lavori e poi, la preparazione religiosa, i canti, i giochi, le feste, le recite, le gite, sempre con noi e senza limitazione di tempo. Sì hanno mangiato, bevuto, dormito poco e tanto, tanto lavorato». Sono le suore la presenza continua a cui tutti fanno riferimento, a cui si possono confidare preoccupazioni e speranze, che tutti trovano sempre disponibili in qualsiasi momento lieto o doloroso. Sarà per questo che al momento del trasferimento nelle nuove case del Villaggio Dalmazia i profughi si batteranno perché anche le suore possano seguirli.

Il villaggio Dalmazia: Una nuova casa per i profughi

La Costruzione del Quartiere

Il 21 maggio 1956, un evento importante ha avuto luogo a Novara, in Italia. È stato l’inaugurazione del Villaggio Dalmazia, un quartiere speciale costruito per le famiglie profughe Giuliano Dalmate. Ma come è stato possibile costruire questo quartiere?

La Priorità per le Famiglie Profughe

Tutto è iniziato il 22 aprile 1949, quando il prefetto di Novara ha scritto una lettera al Ministero dell’Interno. Ha chiesto che le famiglie profughe Giuliano Dalmate avessero la priorità nell’assegnazione degli alloggi. Questo è stato un passo importante per aiutare queste famiglie a trovare una nuova casa.

I Fondi per la Costruzione

Per finanziare la costruzione del quartiere, sono stati utilizzati i soldi provenienti dalla legge Scelba. Questa legge prevedeva un totale di 9 miliardi di lire per costruire alloggi pubblici per i profughi e i rifugiati. Di questi soldi, 382.400.000 lire, sono stati destinati a Novara per costruire 302 unità abitative. Questo quartiere è stato scelto perché la città aveva molte opportunità di lavoro per i profughi e i rifugiati.

La Decisione di Costruire

La decisione di costruire il Villaggio Dalmazia è stata presa all’unanimità dal Consiglio Comunale di Novara il 10 marzo 1953. Hanno scelto un terreno di 40.000 metri quadrati tra la cascina Rasario e la frazione Cittadella. Il prezzo del terreno è stato concordato a 770 lire al metro quadrato.

Un Nuovo Inizio la Dignità e la Libertà

Con la costruzione del Villaggio Dalmazia, lo Stato italiano ha restituito ai profughi la dignità di essere umani e il pieno esercizio della libertà. Prima di questo, i profughi avevano avuto molti problemi e non potevano godere pienamente dei loro diritti. Il Villaggio Dalmazia è stato un progetto speciale che ha dato una nuova casa ai profughi Giuliano Dalmate. È stato un modo per aiutare queste famiglie a ricostruire le loro vite dopo la guerra. Grazie a questo quartiere, i profughi hanno potuto inserirsi nella comunità di Novara e iniziare un nuovo capitolo della loro vita.

Benvenuti a Novara

Il giorno dell’inaugurazione, il sindaco di Novara, Allegra, ha dato il benvenuto ai nuovi cittadini. Ha detto loro che erano diventati cittadini di Novara e che la città li accoglieva con piacere. Questo era un passaggio importante per far sentire i profughi parte della comunità.

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Alla difficile esperienza del Centro di raccolta mette dunque fine la costruzione di case popolari nel cosiddetto Villaggio Dalmazia dove i profughi vengono trasferiti a cominciare dal maggio 1956. Alle famiglie della caserma Perrone se ne aggiungono altre provenienti da altri centri di raccolta e intorno alle loro case ne verranno presto costruite altre da altri Enti (IACP, Rodiatoce, INPS, Polizia) e da privati.

La nostra storia: date importanti

1946. La caserma Perrone, adibita a “Centro Raccolta Profughi” incomincia ad accogliere le famiglie profughe dai territori italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia passate alla Jugoslavia.

3 ottobre 1954. Posa della prima pietra del “Villaggio Dalmazia” che darà la possibilità di una abitazione dignitosa ai profughi.

Nel 1955-56 viene costruito il “Villaggio Dalmazia” destinato ad accogliere le famiglie “profughe” dall’Istria e Venezia Giulia, dai paesi dell’Est Europa (Romania, Bulgaria, Ungheria), dalla Grecia, Egeo, Turchia, già ospiti nel Centro di Raccolta alla Caserma Perrone

21 maggio 1956. Viene chiuso il Campo Profughi e le famiglie lì ospitate si sistemano in vari rioni cittadini. Il gruppo più numeroso si trasferisce al Villaggio Dalmazia

1° ottobre 1958. Inaugurazione della scuola elementare Tommaseo che diventerà un luogo molto importante per l’aggregazione e l’inserimento delle famiglie nel territorio.

Il 25 novembre 1962 don Teresio Giacobino è nominato parroco. In questi anni nella zona si ha un grande sviluppo edilizio e l’insediamento di immigrati di ogni regione d’Italia

2 giugno 1974. Viene inaugurato il campo sportivo che diventerà il luogo dove la gioventù vivrà grandi momenti sportivi ed educativi in particolare con il Gruppo Sportivo Villaggio Dalmazia.

Nel 1975, ricorda ancora “Ciccio”, lui e altri giovani aiutano a fare la gradinata in cemento nel nuovo campo sportivo adiacente alla nuova chiesa.

La Chiesa

Il 19 gennaio 1958, Mons. Poletti, inaugura e apre al culto la “Chiesetta provvisoria”al centro del Villaggio.

All’inizio non esiste una chiesa: sarà il Seminario ad ospitare, per le messe e l’oratorio i nuovi arrivati. Nel 1957 si provvede alla costruzione di una Cappella che avrebbe dovuto essere provvisoria su un’area presa in affitto dall’Amministrazione Comunale.

Con l’inaugurazione della nuova Chiesa nel 1970 lefunzioni religiose della “Chiesetta” vengono interrotte e l’edificio reso al Comune di Novara. I giovani volontari del Villaggio nel 1976 volendo recuperare la struttura da utilizzare per varie attività ricreative e culturali, sotto la guida del geometra Lucio Cardinali, ottenendo i materiali dall’amministrazione comunale per la ristrutturazione del controsoffitto, del basamento delle colonne e altri ritocchi,i misero la loro manodopera e tempo libero sotto il controllo del capomastro signor Palmiro Pili. Questo’ ricorda Giuseppe Ricotta, per gli amici del villaggio “Ciccio”, essendo stato egli stesso uno di quei giovani insieme a Giuliano Koten, Nicola Casciano, Giorgio Facchin, Tonino Lioi, Cristiano Macini, Nardino Germano.

La Parrocchia della Sacra Famiglia

Viene eretta Parrocchia a pieno titolo il 1° settembre 1962 conservando il titolo “Sacra Famiglia” perché, afferma ancora don Teresio, già la cappella del Campo profughi era intitolata alla S. Famiglia.

Don Teresio Giacobino

Ricordando Don Teresio Giacobino

Un parroco amato da tutti

Dal lontano 1958, Don Teresio Giacobino è stato al Villaggio. Chiunque lo abbia conosciuto sa quanto sia stato umile e generoso. La sua missione era quella di servire e aiutare tutti, specialmente i più piccoli e indifesi. Anche dopo il suo trasferimento, i giovani e gli adulti lo visitavano regolarmente nel suo nuovo posto a Intra Pallanza. Anche se sono passati tanti anni, Don Teresio è ancora nel cuore di tutti i parrocchiani.

Un uomo umile fino alla fine

Nel 1979, durante la sua ultima messa in parrocchia, Don Teresio ha ascoltato un discorso affettuoso dedicato a lui. Dopo averlo sentito, ha detto: “Vi perdono per le esagerazioni che avete detto su di me, sono solo un povero uomo”. Queste parole

dimostrano ancora una volta che Don Teresio era un grande sacerdote e un grande uomo.

Il 4 marzo 1979 don Teresio Giacobino lascia la Parrocchia per un nuovo incarico nella Diocesi.

Don Zeno Prevosti

Don Zeno entra come Parroco della Sacra Famiglia il 29 aprile 1979 e termina il 30 giugno 1986. Sono sette anni di grande impegno e rinnovamento, nei quali Don Zeno mette a disposizione della parrocchia tutto il suo giovanile dinamismo e la sua capacità organizzativa. Una parrocchiana lo ricorda così sulle pagine del giornalino parrocchiale: «La sua permanenza come Parroco della Sacra Famiglia era iniziata il 29 aprile 1979 e come tutti ricordiamo aveva sostituito il caro don Teresio Giacobino. Sono stati sette anni di grande impegno per don Zeno e per la nostra comunità. Don Zeno è stato una miniera di iniziative tutte coinvolgenti, dai bambini agli anziani, senza concedersi un attimo di respiro!  Un settennio indimenticabile: 29 aprile 1979 – 30 giugno 1986 Lui stesso ricorda il periodo come un settennio indimenticabile. In una lettera del 10 marzo 2012 rivive gli anni intensi del suo ministero di parroco presso la comunità della Sacra Famiglia. «Ho ancora vivo nel cuore l’emozione di quando Mons. Aldo Del Monte, Vescovo di Novara, chiamandomi nel suo studio nel mese di febbraio 1979, mi chiedeva la disponibilità per andare a guidare la Parrocchia della Sacra Famiglia, a quei tempi ancora conosciuta come “Villaggio Dalmazia”. Non avevo ancora compiuto 33 anni e l’idea di un coinvolgimento pastorale in prima persona in una comunità parrocchiale mi lasciò alquanto perplesso. Don Giacomo De Giuli, allora mio parroco alla Madonna Pellegrina, mi sostenne nella scelta e nel distacco dai giovani con i quali avevo camminato per 9 anni dicendomi: “lasciamoci guidare dal misterioso disegno di Dio”.

Dal maggio 1986 fino ad oggi, alla guida della Parrocchia, c’è don Emilio.

Un uomo che con la sua pacatezza, attenzione alle necessità della Comunità e profondità spirituale, in questi 38 anni di attività ha saputo entrare nel cuore dei propri parrocchiani e rinnovare anche a livello strutturale l’oratorio e la Chiesa. In particolare nel 2007 sono iniziati i lavori per la realizzazione della Cripta Madre Teresa, luogo di adorazione e preghiera, intimo e raccolto. Nel 2011 è stato invece rinnovato il sagrato, che attraverso la simbologia sacra, è diventato una zona di incontro tra la Chiesa e le persone che lo attraversano. Don Emilio, con l’aiuto di tutti i parrocchiani e i collaboratori, ha voluto anche rendere la Parrocchia una struttura accogliente e funzionale per la realizzazione di eventi aggregativi, come la festa Patronale, la festa dei Santi Compatroni, la festa di San Vito, i pranzi comunitari e il Giorno del Ricordo. Nel 1997 è stato ristrutturato il centro comunitario, il palco e creata una pavimentazione polivalente, adatta sia alle serate danzanti che alle attività dell’oratorio. Negli anni seguenti sono proseguiti incessantemente altri interventi migliorativi e di adeguamento strutturale, tra cui l’installazione dell’impianto fotovoltaico e la sostituzione di tutti i serramenti. Particolare attenzione è stata poi rivolta alle persone in difficoltà economica che popolano la Parrocchia. Attraverso il Banco Alimentare, ogni giovedì pomeriggio vengono distribuite le borse contenenti generi alimentari di prima necessità a sostegno dei soggetti più fragili. La generosità e la collaborazione dei Parrocchiani in questi anni ha saputo sostenere attivamente ogni attività, opera ed iniziativa della Parrocchia.

Le suore missionarie Immacolata Regina Della Pace “Pianzoline”

Un’incredibile missione di aiuto

Nel lontano 1949, un gruppo di suore missionarie chiamate dell’Immacolata Regina della Pace “Pianzoline” è stato inviato alla caserma Perrone per iniziare una missione molto speciale. La loro missione era aiutare le persone che erano diventate profughe a causa di eventi difficili.

Un asilo per l’infanzia nel Villaggio Dalmazia

Suor Florida e Suor Maria Giacinta: due suore coraggiose non si sono limitate a lavorare solo alla caserma Perrone. Hanno deciso di seguire le famiglie che avevano bisogno di aiuto e si sono trasferite anche al Villaggio Dalmazia. Lì, hanno aperto un asilo per i bambini del quartiere. Questo asilo si chiamava “Suor Florida e Suor Maria Giacinta” ed era un luogo speciale dove i bambini potevano imparare e giocare insieme.

Un esempio di vita aiutare le famiglie e i giovani

 Suor Florida e Suor Maria Giacinta non erano solo insegnanti nell’asilo, ma erano anche esempi viventi di vita cristiana. Aiutavano le famiglie del Villaggio Dalmazia in molti modi diversi. Erano sempre pronte a dare una mano quando c’era bisogno e a offrire un orecchio attento per ascoltare i problemi dei giovani.

Un servizio missionario straordinario

Le due suore hanno dedicato ben 37 anni della loro vita al servizio missionario nel Villaggio Dalmazia. Hanno aiutato molte persone e hanno fatto una differenza significativa nella comunità. Nel 1986, sono state chiamate a prestare il loro servizio missionario altrove, ma il loro impatto nel Villaggio Dalmazia è stato davvero indimenticabile.

Un ricordo affettuoso

Oggi, Suor Florida e Suor Maria Giacinta non sono più con noi, ma le ricordiamo con affetto per tutto il tempo e l’amore che hanno dedicato alla comunità del Villaggio Dalmazia. Sono state due donne straordinarie che hanno fatto del loro meglio. Siamo grati per tutto ciò che hanno fatto e per l’esempio che ci hanno lasciato.

1958 la prima classe presso la scuola Nicolò Tommaseo

Alcuni simboli accompagnano la nostra storia e sono particolarmente importanti e cari.

Tra questi, la campana che era già presente alla chiesa della Caserma Perrone, la statua della Madonna Immacolata che è arrivata anch’essa dalla chiesa della Perrone e che ci ha seguito prima alla chiesetta del Villaggio e ora alla chiesa attuale. La statua della Madonna è stata da poco impreziosita da un basamento in pietra bianca dell’Istria e da un sostegno metallico che ne esaltano la bellezza. I quadri della Sacra Famiglia, di San Vito patrono di Fiume, San Tommaso patrono di Pola e San Simeone patrono di Zara adornano la nostra chiesa e sono stati dipinti dall’architetto Gorlato appena arrivato al Villaggio. Sul sagrato della chiesa, lungo la cancellata, su due ulivi sono stati portati dall’Istria e trapiantati da noi. Uno è stato portato dalla Calabria.

Un tuffo nel passato: La scuola elementare Niccolò Tommaseo

II 1° Ottobre 1958 veniva inaugurata al Villaggio Dalmazia di Novara la scuola primaria intitolata a ” Nicolò Tommaseo “.

Detta scuola essendo situata vicino alle case costruite per i profughi era frequentata prevalentemente da figli di profughi, che con il tempo cresciuti lasciando il posto a altri bambini, figli di profughi o nipoti.

Causa le nuove normative cl prevedono dei poli scolastici con 1000 studenti, la scuola è stata chiusa definitivamente nel 2012 ma, nei nostri cuori continuerà a vivere tra i ricordi della nostra infanzia, per ricordarla e per omaggiarla è nata questa pagina.

posto a altri bambini, figli di profughi o nipoti.

Quando arrivammo al villaggio, non c’era ancora una scuola. Per due anni, andavamo a frequentare quella di Cittadella. Eravamo tanti e dovevamo seguire i doppi turni.

Nel frattempo, stavano costruendo una nuova scuola con un design all’avanguardia. Le finestre erano posizionate in modo tale da far entrare la luce del sole dall’alba al tramonto. C’era anche un ampio refettorio nel seminterrato e un vasto cortile. Il 1° ottobre 1958, finalmente la scuola fu completata.

L’orario era dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 16. C’era persino un doposcuola disponibile. La scuola era suddivisa in 10 classi, sia maschili che femminili. Dopo alcuni anni, la nostra scuola adottò un nuovo orario: soltanto al mattino, dal lunedì al sabato. A partire dal ’75 cinque classi iniziarono a sperimentare l’orario a tempo pieno. Questo significava essere a scuola dalle 8:30 alle 16:30 e avere una settimana più breve. Ogni classe era guidata da due insegnanti e avevamo anche più tempo per dedicarci non solo alla lettura, scrittura e matematica, ma anche a esplorare laboratori tematici in gruppo.

Tuttavia, per offrire questi laboratori, era necessario avere ulteriori spazi. Così, il refettorio fu trasformato in aule adatte per le nuove attività. In quel periodo, moltissime iniziative promosse dai genitori contribuirono ad incrementare i fondi scolastici, rendendo possibile l’ampliamento delle nostre opportunità educative. Forse alcuni di voi ricorderanno ancora la meravigliosa festa di fine anno che durava persino tre giorni e coinvolgeva tutta la comunità del Villaggio. Grazie al generoso contributo del Comune, riuscimmo ad organizzare delle settimane bianche a Druogno, dove fummo ospitati nella Colonia del Comune. Purtroppo, con il declino delle nascite, la scuola ha dovuto chiudere le sue porte, ad eccezione di alcune aule destinate ad una scuola d’italiano per migranti.

La nostra vita da ragazzi era piena di giochi e divertimento

Non avevamo grandi preoccupazioni, perché avevamo a disposizione un vero e proprio parco giochi. La campagna e il nostro quartiere erano come un mondo infinito, dove potevamo cimentarci in giochi e attività di ogni tipo. I giochi di strada riempivano la maggior parte del nostro tempo. A seconda delle stagioni e delle mode del momento, ci divertivamo con figurine, biglie, monetine, cavalli, zattere, calciobalilla, ploze, pipis. Provavamo a prendere la mira o giocavamo a fare i cacciatori con archi e frecce creati utilizzando le stecche degli ombrelli, oppure utilizzando le fionde fatte con gli elastici di Gumax acquistati nel negozio di via Garibaldi. Anche le cerbottane erano un passatempo allettante. Passavamo intere giornate a vagare in campagna e costruire capanne. Nelle strade si svolgevano partite di calcio che sembravano non finire mai, con i giocatori che si alternavano durante la pausa per andare a mangiare a casa. Ma uno dei passatempi più entusiasmanti era il trenino della fornace Bottacchi: un locomotore di piccole dimensioni e una decina di vagoncini ribaltabili, percorreva il lato ovest ed est del Villaggio, svoltava verso la palude e arrivava fino alle cave di argilla che si trovavano a sud, dove oggi c’è lo svincolo della tangenziale. Attendevamo con trepidazione l’arrivo del trenino e salivamo sull’ultimo vagone senza farci vedere dal conducente.

Nel luogo in cui ora sorge la scuola Tommaseo, c’era un piccolo lago navigabile in cui i più audaci si sfidavano in attraversamenti con zattere, che a volte finivano ribaltate, regalando bagni fuori stagione agli intrepidi marinai. I divertimenti acquatici non si limitavano solo a questo: durante l’estate era comune praticare il nuoto nei diversi canali della zona.

Cultura e Sport

Negli anni ’80, il gruppo sportivo Sacra Famiglia (SA.FA.) ha sperimentato un notevole sviluppo presso la parrocchia situata nel Villaggio Dalmazia. Il suo obiettivo principale era quello di mantenere unita una gioventù piuttosto eterogenea attraverso lo sport, le attività religiose e culturali. La SA.FA. includeva una squadra di pallavolo femminile allenata da Paola Pivari Conti e quattro squadre di calcio: i Pulcini, guidati da Gianni Curatolo, gli Esordienti allenati da Claudio Gioria (Caio), e gli Amatori seguiti dal tandem Lenaz F. e Palermo P. Nel 1987, la squadra SA.FA. Amatori, che si autotassava per giocare, senza alcun sponsor alle spalle, ha conquistato il titolo nel suo campionato di categoria.

 Il G.S Villaggio Dalmazia nasce nel luglio 1973

La squadra con il nome di ADRIATICO, viene iscritta al Campionato di TERZA CATEGORIA. Tra i fondatori, ricordiamo Petricich G., Delton A. Lucchetto O., Strozzi R., Lenaz F. Le partite casalinghe vengono disputate sul Campo del Torrion Quartara. Nel ’74, il campo parrocchiale al Villaggio D. è pronto e inizia un’avventura autofinanziata   dagli abitanti del Villaggio che ci porta

alla vittoria del campionato l’8 giugno 1980. Nel 1984, a causa dei forti aumenti dei costi di iscrizione, la SOCIETÀ cessa di esistere. Il Gruppo Sportivo Sa.Fa. ovvero Sacra Famiglia è il gruppo sportivo che nasce nel 1981, dopo la scomparsa del G.S. Villaggio Dalmazia, per tenere uniti nello sport i bambini, i giovani e adulti del quartiere. Del gruppo Sa. Fa. fanno parte quadre di pallavolo femminili e maschili.

Dalmazia Softball Club.

Nell’anno 1972 nasce la Società Sportiva Dalmazia Softball Novara che chiama a fungere da segretario il Signor Tognazzi Luigi.

È un’Associazione Sportiva dilettantistica senza fine di lucro che svolge la sua attività nel settore dell’associazionismo sportivo con l’obiettivo di promuovere e di fondere il gioco del baseball e softball nella città e nella Provincia di Novara. Questa Società sarebbe diventata una scuola di vita per numerose ragazze. In seguito, il settore femminile si unisce alla società Porta Mortara con la quale tutt’ora partecipa ai vari campionati.

FIACCOLA DELLA FRATERNITA’

Una tradizione ormai consolidata nella nostra comunità è quella della Fiaccola della Fraternità. Nasce per iniziativa della SA.FA. nel settembre 1981 in concomitanza della festa dei Santi COMPATRONI e la prima edizione parte dal Santuario di Oropa. I giovani percorrono le strade passandosi la torcia accesa a rappresentare la loro fede e il desiderio di unione e condivisione con tutti. Nelle successive edizioni la fiaccola è partita da Boca, Varallo, dall’ABBAZIA di DULZAGO e da altri santuari e a partecipare saranno non solo i giovani della Sportiva ma anche tutte le componenti della Parrocchia

L’istituzione del Palio della Fornace

Dal maggio del 1988 nel giorno della festa Patronale del Villaggio Dalmazia, si svolge “Il Palio della Fornace” una corsa con carriole che trasportano mattoni, in ricordo della cava di argilla della fornace Bottacchi. Alla gara partecipano i  vari rioni del quartiere: Villaggio Dalmazia, Cittadella, 1 ‘ Maggio, San Gaudenzio San Gabriele, Piazza d’Armi e Cascina Rasario. Nella settimana precedente la festa ogni rione si veste dei propri colori, il Villaggio Dalmazia ha la bandiera colorata di giallo e blu, la Cittadella di giallo e verde, l’1’maggio bianco e rosso, San Gaudenzio giallo e bianco, San Gabriele giallo e rosso e Piazza D’Armi il rosso e il blu e Cascina Rasario con il verde e azzurro. Il Palio della Fornace è stato istituito dal Comitato feste della Parrocchia Sacra Famiglia, ha un suo Statuto e non ha scopo di lucro.

Nell’ambito del Comitato feste si è decide di istituire una gara non competitiva che metta simpaticamente e con spirito quasi goliardico, una contro l’altra le varie zone della Parrocchia. Come già detto, in considerazione del territorio, un tempo cava di argilla per la fornace Bottacchi si decide di chiamarlo “Palio della Fornace”. Anche la gara deve ricordare questa caratteristica del rione: i concorrenti si sfideranno spingendo di corsa carriole da muratore, su cui dovranno caricare, uno dopo l’altro, dei mattoni. E sul grande stendardo che sarà consegnato al rione vincitore, accanto all’immagine della chiesa e di alcune costruzioni caratteristiche delle varie zone, sarà dipinta proprio la ferrovia col trenino che percorreva tutto il quartiere trasportando l’argilla alla fornace e che i meno giovani ricordano ancora. Si parla di rioni, ma in realtà la parrocchia non è divisa in zone. Sarà proprio in occasione dell’istituzione del Palio che attraverso lunghe e veramente accanite discussioni si individuano i sette rioni, viene dato loro un nome legato o a vecchie denominazioni o a edifici presenti nella zona e vengono scelti i colori che li caratterizzeranno. Avremo così il rione I° maggio che prende il nome dal circolo ricreativo presente e che avrà i colori bianco e rosso; Cittadella, come già veniva chiamata la zona, contraddistinta dai colori giallo e verde; Cascina Rasario dal nome della omonima cascina, color verde e azzurro; Villaggio Dalmazia dal nome del villaggio dei profughi, color giallo e blu; San Gaudenzio dal vicino Seminario intitolato appunto al Santo patrono di Novara, color bianco e giallo (non a caso forse, i colori del Vaticano); San Gabriele che comprende i palazzi che si affacciano sulla omonima via, color giallo e rosso; Piazza d’Armi per la presenza del deposito militare della Piazza d’Armi, color rosso e blu. Viene predisposto e approvato uno Statuto e tutto è pronto per la gara.

La corsa del Ricordo

La “Corsa del Ricordo” è una gara di corsa su strada che si tiene ogni anno in diverse città italiane per commemorare le vittime delle foibe e dell’esodo delle popolazioni giuliano-dalmate. L’evento è organizzato dall’associazione sportiva dilettantistica FARE SPORT in collaborazione con A.S.I. (Associazioni Sportive & Sociali Italiane) Comitato Provinciale e Regionale, con il Patrocinio della Regione Piemonte, Provincia di Novara e Comune di Novara, con il supporto di A.N.V.G.D. La tappa conclusiva della “Corsa del Ricordo” si è tenuta a Novara per la prima volta il 24 settembre 2023. La manifestazione decennale ha visto la partecipazione di molti atleti e appassionati, che hanno corso per 10 chilometri per commemorare le vittime delle foibe e dell’esodo delle popolazioni giuliano-dalmate. La “Corsa del Ricordo” è diventata un evento di grande rilevanza culturale e storica, che attraverso lo sport ha contribuito a far conoscere le tematiche legate

alla tragedia delle foibe e dell’esodo delle popolazioni italiane da Fiume, dall’Istria e dalla Dalmazia nel secondo dopoguerra. La manifestazione ha svolto una funzione culturale e di risveglio delle coscienze di grandissima rilevanza.

Car.Com.Sa.Fa.

Anche al Villaggio dal 1981 e per alcuni anni a venire, finalmente, si festeggia il Carnevale con pomeriggi canori e carri allegorici costruiti con grandi maschere dai giovani e adulti del quartiere, nasce il Car. Com.

Sa.Fa. cioè il Carnevale Comunità Sacra Famiglia.

Ritrovi e locali pubblici nel villaggio.

Il Primo Bar: Le Sorelle Piera e Pina

Il primo bar del villaggio   è gestito dalle sorelle Piera e Pina. Si trovava nella piazza vicino alla fermata dell’autobus  ed era un luogo frequentato  soprattutto durante la trasmissione televisiva “Lascia o Raddoppia”. La gente si riuniva lì per assistere allo spettacolo, ed era sempre affollato. Dopo qualche anno le sorelle si trasferiscono in una nuova sede, che oggi è conosciuta come Bar Jesi “Lollo”.

Il Circolo ACLI della chiesetta

Piera e il marito aprirono dietro la chiesetta il circolo ACLI. Successivamente assunsero la gestione del circolo parrocchiale attiguo alla nuova chiesa. Dopo la partenza di Piera e suo marito, nel circolo si susseguirono diversi gestori. Uno di loro, Franco, era noto per i suoi deliziosi piatti di pesce e col tempo aprì un ristorante famoso e molto apprezzato. Un altro gestore, Sandro Barile, scrisse addirittura libri sulla gente del posto.

Il Bar “Sant’Eufemia”.

Un altro locale frequentato al villaggio era il bar “Sant’Eufemia”, che aveva un campo da bocce. Molte persone si divertivano a trascorrere del tempo lì.

Il “Piccolo Bar” e la Famiglia Ragazzo

Altro bar chiamato “Piccolo Bar” è stato aperto dalla famiglia Ragazzo. Successivamente fu ceduta a Graziano e poi a Miazza che lo gestisce ancora oggi.

Bar della Bala Bianca

Originariamente il bar era situato nei pressi della caserma Perrone, ma successivamente si è spostato più vicino alla vecchia clientela, aprendo in via Monte San Gabriele. Alla fine, si trasferirono in via Tonale vicino al campo sportivo ed era dotato anche di un campo da bocce.

Il Bar Jesi: ex Lollo

Il Bar Jesi, precedentemente noto come Bar Lollo, è un luogo di ritrovo molto popolare nel villaggio Dalmazia. Qui, i residenti si incontrano per fare colazione, merenda, o semplicemente per chiacchierare e scambiarsi le novità. Il bar è famoso per le sue merende gastronomiche, che deliziano i palati di grandi e piccini.

Feste e ricorrenze

Alla caserma Perrone, la festa di San Vito era un’occasione speciale, caratterizzata da processione, messa solenne e diverse attività tradizionali. Oltre alle partite di calcio, si svolgevano giochi come la Corsa nei Sacchi, il Palo della Cuccagna e le Pignatte.

Nel Villaggio Dalmazia, le consuete tradizioni erano arricchite dal Banco di Beneficenza e dalla preparazione artigianale della Pastasciutta al sugo, curata da Lucia, Nucci e Luciana.

Con lo spostamento della festa nel cortile della nuova chiesa, la cucina veniva inizialmente allestita negli spogliatoi del campo di calcio e successivamente nei box sopra il cortile dell’oratorio. Man mano che la festa cresceva, venivano preparati piatti come la Paniscia e i Mititei, specialità rumene alla griglia. Il cortile veniva ristrutturato con pavimentazione, gradinate e un palco, e la cucina veniva trasferita all’interno del circolo, mentre una tettoia all’esterno proteggeva la griglia, le friggitrici e il forno per i dolci. La festa diventava sempre più grande, con l’introduzione di specialità regionali come i cevapcici e il baccalà mantecato (istriani), il gulasch e le palacincke ungheresi, e la paniscia, la polenta e il gorgonzola novaresi, che hanno reso celebri le feste del villaggio in tutta Novara e dintorni. Il Banco di Beneficenza e la Lotteria attiravano chi era in cerca di fortuna, mentre le sfilate del Palio della Fornace, insieme a gruppi folkloristici, animavano le strade del villaggio. Le serate erano allietate da orchestre nel piazzale dell’oratorio, che invitavano i ballerini a scatenarsi in pista. Scuole di ballo, maghi, imitatori e majorette animavano ulteriormente le serate. La festa, inizialmente di due giorni, si era via via estesa a tre, poi a sei, fino a protrarsi per altri tre giorni alla quarta domenica di settembre, in onore dei Santi Compatroni. Tra gli avvenimenti più memorabili, si ricordano il lancio con il paracadute al centro del campo sportivo, la carica della cavalleria sullo stesso campo e i fuochi d’artificio, realizzati grazie alle piccole donazioni raccolte dal compianto Leone. Un momento indelebile è stato la grande rimpatriata del 2004, che ha riunito quasi 500 persone che hanno vissuto nel villaggio, provenienti non solo da diverse parti d’Italia, ma anche da Germania, Stati Uniti, Australia e altre nazioni. Hanno condiviso un’indimenticabile esperienza di convivialità nel cortile e nei saloni parrocchiali, con abbondante cibo, bevande e canti. Un sentito ringraziamento è rivolto a tutti coloro che, con impegno e sacrificio, hanno reso possibile tutto ciò.

Integrazione  

Il villaggio di Dalmazia è un esempio di integrazione e convivenza tra diverse culture e tradizioni. Questi esuli portarono con sé la loro lingua, la loro religione, la loro gastronomia e le loro usanze, che si mescolarono con quelle dei locali piemontesi.

Nel corso degli anni, il villaggio ha accolto anche altre comunità di esuli provenienti da diverse parti del mondo, come i Rumeni, i Rodensi, i Tunisini e molti altri. Queste comunità hanno arricchito il patrimonio culturale del villaggio, creando un clima di tolleranza e rispetto reciproco. Il villaggio ha saputo mantenere vive le proprie radici, ma anche aprirsi al dialogo e allo scambio con le altre culture. Oggi, il villaggio Dalmazia è un luogo di pace e di armonia, dove si respira un’atmosfera di solidarietà e di amicizia. Il villaggio è famoso per le sue feste e le sue manifestazioni, che celebrano la diversità e l’unità delle sue genti. Il villaggio è anche un modello di sviluppo sostenibile, che valorizza le risorse naturali e le tradizioni locali. Il Villaggio Dalmazia è un esempio di come la convivenza tra diverse comunità di esuli possa essere una fonte di arricchimento e di crescita, e non di conflitto e di divisione. Il villaggio dimostra che la diversità non è un ostacolo, ma una risorsa, e che la cultura non è un elemento di separazione, ma di condivisione. Il villaggio è un simbolo di speranza e di futuro.

Le Donne del Villaggio

Le signore, le mamme già presso la Caserma Perrone lavoravano facendo lavori umili per aiutare le finanze familiari, come sarte, mondine e governanti presso le famiglie bene novaresi. Dagli anni ’50 con lo sviluppo delle grandi fabbriche in città furono assunte come operaie.

 Negli anni ’ 90, le ex mule della ex Villa Perrone, che una volta erano ragazze e insieme uscivano a ballare e andavano al cinema, decisero di ritrovarsi in allegria ricordando i bei tempi. Loro che in tutto questo tempo sono rimaste amiche e vicine di casa.

Tradizioni canore al villaggio Dalmazia

Aris, Andrea, Edy, Bruno, Bruno T. Sandro, Joza

Cineforum.

Nel nuovo salone parrocchiale dal 1975 fino ai primi anni “80 venivano proiettati film la domenica pomeriggio per adolescenti e la sera per i giovani. Ancora prima della costituzione della parrocchia i bimbi e adolescenti frequentavano il catechismo presso il Seminario Vescovile, adiacente al quartiere, e già allora venivano proiettati film la domenica pomeriggio.

Al villaggio della Dalmazia, le tradizioni canore hanno radici profonde che si intrecciano con il passato della caserma Perrone. Gli esuli erano soliti riunirsi sui gradini sotto il porticato, regalando alle serate un’atmosfera vivace con canti popolari e melodie che risuonavano nell’aria.

Questa affascinante tradizione ha resistito alle prove del tempo, e ancora oggi, al bar o alle feste, i canti continuano ad accompagnare le giornate. Le sonorità di strumenti di Caio e Pagogna si fondono armoniosamente, creando un sottofondo musicale che diventa parte integrante della vita quotidiana. Durante le festività pasquali e natalizie, le cantate si prolungano fino a tarda notte, mentre quantità generose di vino scorrono tra gli amici riuniti. Un’indimenticabile serata segna una svolta nella storia musicale del villaggio. In una di queste serate compare Enrico Re, un colonnello dell’esercito un tempo compagno di scuola al conservatorio del celebre musicista Cantelli. Il maestro Re, entusiasta delle potenzialità della comunità nel canto a più voci, propone di formare un coro composto da 30 elementi, con lui come direttore. Il coro, arricchito da inserimenti di pezzi operistici, diventa una presenza costante fino agli anni settanta. Dopo un breve periodo di pausa, la tradizione si rinnova sotto la guida di Don Maurizio Gagliardini, che porta avanti il testimone con dedizione e passione.

Nel 1996 e nel 1997 i ragazzi del “vecchio gruppo giovanile “animatori degli anni ottanta decise di ritrovarsi, e avendo tutti la passione per il canto, si riuniscono in uno spettacolo musicale intitolato Con amicizia, e verrà proposto in vari quartieri e Parrocchie di Novara.

Nel nuovo millennio, la corale, da quel momento diretta dal maestro Rossitto, riceve un’onorevole invito al Giubileo delle Corali presso la Città del Vaticano nel 2016.

Il 2019 segna un nuovo capitolo emozionante. Nasce la Corale Fiume Istria Dalmazia, unisce le voci e le canzoni delle terre native. Con entusiasmo, collaborano alla creazione di un CD che raccoglie un vasto repertorio di melodie, testimonianza della ricca tradizione musicale delle nostre terre.

Così, noi del Villaggio Dalmazia continuiamo a custodire gelosamente le nostre tradizioni canore, tramandandole di generazione in generazione, unendo passato e presente in un armonioso canto che risuona nelle anime della comunità.

Personaggi

Ecco i protagonisti che hanno brillato e ottenuto successo nel mondo dello sport. Tutti loro condividono un legame speciale: sono esuli giuliani, arrivati in giovane età presso la caserma Perrone di Novara a causa delle tragiche vicissitudini politiche che hanno coinvolto il confine orientale.

Giuliano Koten riceve il Premio Collare d’Oro 2023

Un viaggio di perseveranza

Giuliano Koten, nato nel 1941 a Fiume, dovette lasciare la sua città natale nel secondo dopoguerra. Nel 1950 finì nel campo profughi di Novara, dove rimase per otto anni. Nonostante le sfide, ha trovato lavoro e si è sistemato. Tuttavia, nel 1965, mentre lavorava come ascensorista, ebbe un grave incidente che lo lasciò su una sedia a rotelle. Ma non ha perso la speranza. Dopo l’incidente ha scelto di dedicarsi al volontariato e allo sport. Divenne un pilastro dell’Associazione Sportiva Disabili Novarese (ASH), dove allevò diversi campioni. Successivamente è diventato presidente di “Timone”, associazione che sostiene le persone bisognose attraverso attività sociali, educative, terapeutiche e sportive. L’impegno di Giuliano Koten è stato riconosciuto a tutti i livelli, anche dal CONI e dal Comitato Olimpico Internazionale. Fu nominato Cavaliere di Gran Croce. Nel 1988 il Novara gli conferisce il “Sigillum” come Novarese dell’Anno. Il Collare d’Oro è la massima onorificenza sportiva conferita dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI). Riconosce i risultati eccezionali degli atleti, i meriti sportivi di società secolari e i leader sportivi che hanno dedicato la propria vita al servizio dello sport.

Altro su Koten

La Voce La Stmpa Comune di novara ANVGD Quirinale

Abdon Pamich

E stato un marciatore italiano di origine fiumana. È nato a Fiume il 3 ottobre 1933 e ha vissuto lì fino alla fine della seconda guerra mondiale. Dopo la guerra, Pamich e suo fratello sono fuggiti dal regime di Tito e si sono rifugiati in Italia. Hanno trascorso un anno nel campo profughi di Novara prima di trasferirsi a Genova con la loro famiglia 123.Pamich ha rappresentato l’Italia in cinque edizioni dei Giochi olimpici, vincendo una medaglia di bronzo ai Giochi di Roma del 1960 e una medaglia d’oro ai Giochi di Tokyo del 1964 nella specialità dei 50 km di marcia 41. È stato anche due volte campione europeo e 40 volte campione italiano.

Giovanni (Nini) UDOVICICH

Altro su Nini

Con le sue 516 presenze in maglia azzurra, rappresenta il record di fedeltà sicuramente imbattibile. La sua figura alta, la sua calvizie già in età giovanile ne hanno fatto un personaggio ancor prima che raggiungesse l’incredibile record che ben pochi possono vantare (Boniperti, Baresi F., e pochi altri) di aver vestito per così lungo tempo solo una casacca, quella azzurra del Novara. Nini, profugo della Dalmazia, nella folgore della sua carriera ha ricevuto offerte allettanti per giocare in serie A, ma lui ha sempre rifiutato con orgoglio rimanendo al Novara. Si era parlato di un interessamento della Roma. Sta di fatto che Udovicich a Novara e nel Novara si trovava bene e mai ha voluto abbandonare la sua città adottiva. Poche parole e tanti fatti sembrava il suo motto, sta di fatto che sotto il Nini si fermarono punte del calibro di Graziani, Pulici, Pruzzo, Anastasi e tanti altri.

Adelia Valencich

Fiumana, giunta a Novara alla caserma Perroni come rifugiata, ha lasciato un’impronta indelebile nel softball italiano. Nel 1970, ha iniziato la sua carriera nella squadra di Novara, scalando le serie “B” e “A” grazie al suo talento. La sua abilità l’ha portata a essere convocata nella nazionale italiana nello stesso anno, continuando a rappresentare il paese nelle stagioni successive. Purtroppo, ha dovuto rinunciare a ulteriori convocazioni a causa dei suoi impegni lavorativi.

Gianna Coslovi 

Si è avvicinata alla pallacanestro presso il Gruppo Sportivo Wild (con propria palestra nel quartiere di sant’Agabio) dove Dino Manzi stava formando un vivaio molto interessante. Questa squadra femminile è via via cresciuta sino a diventare la più importante di Novara e provincia. Ha partecipato a diversi campionati di promozione e di serie B, giungendo a risultati prestigiosi che hanno messo in evidenza le capacità di Gianna Coslovi nel ruolo fondamentale di pivot. Gianna ebbe la soddisfazione di essere convocata nella Nazionale di Pallacanestro azzurra.

Matteo Paladin

Matteo Paladin, difensore del Novara a cavallo fra gli anni ’80 e ’90 divenuto poi allenatore tra le altre squadre anche di Omegna e attualmente del Sizzano. Ha anche allenato le giovanili di Pro Vercelli e Novara e per un anno anche della Juventus.

Le nostre storie : la voce dei protagonisti

Caterina e la storia di tante persone vissute al campo profughi e al villaggio Dalmazia

 

Era il 24 dicembre del 1946, quando io, Caterina Mirlocca, nata a Tunisi nel 1930, con una sola valigia, salii su una nave che mi avrebbe condotto in Italia. Se in una mano tenevo la mia valigia, nell’altra stringevo gli affetti in viaggio con me: i miei genitori italiani, mia sorella Maria e mio fratello Vito nati a Tunisi. Una sorella era partita per la Francia col marito. Era la sera del 25 dicembre 1946, sì Natale, quando con un treno arrivammo a Novara, per essere ospitati nel centro di raccolta profughi della ” caserma Perrone”. Faceva tanto freddo; noi non eravamo abituati, non avevamo né abbigliamento né scarpe adatte al clima. Da lì a poco nevicò, la neve scese dal cielo come una magia, mai vista! siamo scesi tutti nel grande cortile e abbiamo giocato con la neve e non sentivamo più il freddo. Ricordo quel luogo, la caserma Perrone, un posto immenso con una grande scalinata che portava ai piani superiori. C’erano camerate enormi con le coperte militari appese, a delimitare il confine e la privacy delle famiglie. Eravamo tutti una unica “casa”, una unica “famiglia”; non c’erano porte tra noi se non quelle del bagno. Ricordo lunghe file per prendere i pasti, per lavare indumenti e per l’igiene personale. Era tutto così strano, ma era la nostra quotidianità, che oggi lascia dietro di sé un po’ di nostalgia per quei bei tempi per giovinezza e lo spirito di adattamento. Quanti amici! si usciva tutti insieme e i novaresi avevano paura di noi, eravamo i mao-mao, dicevano ai loro bimbi di starci lontani; poi col tempo hanno compreso che abbiamo avuto solo la sfortuna di essere stati cacciati dalle nostre terre, chi dall’Africa, Dalmazia, Istria, Venezia giulia, paesi dell’est Europa, Bulgaria, Grecia, Turchia, Libia e altri paesi a causa delle conseguenze della guerra. Noi giovani vivevamo di colpe non nostre. Frequentai, come tanti giovani, la scuola italiana all’interno del “campo” e poi una scuola professionale di sartoria. Ci si aiutava tutti, ognuno metteva a disposizione ciò che aveva e sapeva fare: lo feci anche io cucendo. Dopo qualche anno arrivò mio fratello Marco dalla Tunisia si ammalò di tubercolosi che all’epoca era una malattia grave e diffusa: ricoverato al sanatorio morì nel 1954. Proprio in quell’anno l’amministrazione comunale di Novara decise che si sarebbero costruite case dignitose nel nuovo quartiere in periferia, il villaggio Dalmazia e finalmente nel 1956 anche la mia famiglia ebbe un appartamento in via Pordenone 2. Era strano, tutta per noi e con le porte! Conobbi in quegli anni un giovane simpatico poliziotto napoletano, mi sposai nel 1961 restammo al villaggio dove sono nati e cresciuti i miei figli e figli di amici profughi , nel quartiere arrivarono anche famiglie dal sud dell’Italia e fu subito buona convivenza ed amicizia. I miei figli non si sono mai vergognati di essere figli di profuga, ma fieri del mio trascorso.

Attraverso i nostri figli il “villaggio” continuerà a vivere come vivranno le testimonianze di “vissuto” di amicizia tra profughi e novaresi che nel corso del tempo sono diventati vicini di casa inseparabili. Il mio ricordo resta a voi, perché io il 7 novembre 2023, dopo 10 lunghi anni al “campo” e 67 anni vissuti in questo “cuore al quadrato” raggiungo lassù i nostri cari lasciando in custodia alla nuova generazione questo angolo della periferia Novarese.

Interviste

Mi chiamo Scolastica

e quando mi sono trasferita insieme alla mia famiglia nel nuovo quartiere del Villaggio Dalmazia nel 1958, avevo 7 anni. Io sono nata a Novara e mi sono ritrovata in quel nuovo quartiere perché oltre alle case destinate ai profughi, ne erano state costruite poche altre per i non profughi come me. Forse, pensavo io, perché questa gente si amalgamasse meglio con il resto della popolazione novarese. In realtà sono io che mi sono integrata a loro e non viceversa, forse perché allora io ero in minoranza rispetto a loro! Comunque ho iniziato da subito a frequentare alcune famiglie dei miei coetanei amici. Ho imparato a capire da subito il loro dialetto, meglio del novarese. Ho trascorso un’infanzia e un’adolescenza serena con questi miei nuovi compagni di avventura. A quei tempi al Villaggio ci si conosceva tutti: era come vivere in un paese con la scuola elementare Niccolò Tommaseo, con la mia brava maestra signora Cominoni Bianchi Angela, la chiesa con il  caro don Teresio Giacobino, con la sua tonaca sempre lisa e rammendata perché lui era un santo, non tratteneva nulla per sé neppure per comprarsi una tonaca nuova! Al suo seguito aveva sempre il povero Nini, un ragazzo down che gli faceva da chierichetto e poi, le suore pianzoline Maria Giacinta e Ausilia. Come dimenticarle? La domenica, assieme alle mie nuove amiche passavamo il pomeriggio nel loro cortile ad imparare a tenere l’ago in mano, a sferruzzare con la lana. Se ora riesco a fare un orlo o a rammendare qualcosa, il merito lo devo a loro. Tutte persone queste approdate lì, in quel nuovo quartiere, per rendere meno difficile l’integrazione con il resto della città e sopportare meglio il distacco dalla loro terra. E poi cantavamo, giocavamo, eravamo sereni, nonostante fossimo usciti da pochi anni da una guerra mondiale ed era quello il motivo, mi raccontava mio padre, per cui tutte quelle povere famiglie si ritrovavano lì al Villaggio: perché erano dovute scappare lasciando la terra dove erano nati, terra italiana, la casa dove erano nati, i loro ricordi ed anche molti parenti. Io allora non capivo perché ero ancora bambina! Capivo però che eravamo bambini tutti uguali e le mamme erano tutte uguali! I problemi naturalmente non mancavano; spesso, soprattutto la sera, venivano a chiamare mio padre che era poliziotto, per andare a sedare risse che sfociavano soprattutto nel locale bar dove magari qualcuno alzava un po’ il gomito. Nel disagio sociale l’uomo ricordava la triste realtà che gli si prospettava per l’avvenire, in un contesto, per i tempi, ancora poco ospitale con i “nuovi venuti”. Gli anni sono passati e devo dire che la maggior parte di loro nel frattempo si è rimboccata le maniche e si è realizzata nella vita raggiungendo anche successi ragguardevoli un po’ in tutti i campi. Mi sono sentita sempre più una di loro che una locale, prova ne è che lì al Villaggio ho conosciuto colui che sarebbe diventato mio marito. Il caro don Teresio Giacobino ci ha fatto il dono più grande di celebrare il nostro matrimonio. Concludendo posso dire che Il loro unico sbaglio, intendo dei “profughi” è stato quello di essere vissuti da italiani in un momento difficile e sbagliato della nostra storia!

Roberto Maragni “ex presidente “Regaldi”

Agli amici del Villaggio Dalmazia Carissimi ragazzi, vi chiamo affettuosamente ragazzi anche se ormai siete rispettabilissimi adulti, o anche nonni. Ma i ricordi di cui devo parlarvi sono legati agli anni in cui abbiamo vissuto insieme l’esperienza del calcio nel Gruppo Sportivo “Regaldi”. Siete venuti portati dal carissimo ed ineffabile Alfonso Tudisco per disputare il Campionato Allievi del CSI. Il primo impatto con voi è stato uno SHOCK! Lo descrive molto bene Eligio Pastrovicchio nel volume del 2010 in occasione dei 100 anni di fondazione dell’Associazione Studenti Cattolici “G. Regaldi” di cui il Gruppo Sportivo era parte integrante. “A cavalcioni di sgangherate biciclette un gruppo di inseparabili coetanei/amici “muli”, dalla lingua dialettale e indisciplinati, varcava per la prima volta il portone di via Dominioni 4 distinguendosi subito per il loro chiasso, ammucchiando le biciclette nel cortile e facendo conoscenza con ragazzi e uomini molto diversi dal loro ambiente.” Immaginate lo shock dei presenti che nel bar dell’Associazione stavano giocando a calcio balilla o a ping-pong, tutti studenti delle famiglie “bene” di Novara centro. Anche l’Assistente don Ercole Scolari fu molto sorpreso dal vostro chiassoso arrivo. Ma lo shock di don Ercole Scolari raggiunse il massimo quando dopo la prima giornata di campionato, vinta alla grande, arrivò il comunicato del CSI con i risultati delle partite e con parecchie ammonizioni e squalifiche per bestemmia! Quale pessima immagine per la squadra l’Associazione Cattolica più prestigiosa della città! Potete immaginare quali ripercussioni ha avuto tale comunicazione. C’è poi voluto tanto lavoro soprattutto di tipo educativo sia di Alfonso, sia mio, sia di Giorgio Massolo e di altri per cercare di tenervi a freno “orale” e “materiale”, anche se qualche genitore che veniva a vedere le vostre partite, ogni tanto vi incitava a “daghe per le gambe”. Poi siete stati bravi: avete vinto il campionato ma anche i vostri comportamenti si sono moderati. Il capolavoro di Alfonso Tudisco fu non solo quello di trasformare una “banda” in un gruppo di amici che ancora vi lega, e questo è molto bello, ma dicevo che un capolavoro fu anche la riuscita fusione sul campo di gara e non solo, tra voi del Villaggio Dalmazia e i numerosi ragazzi del Villaggio Azzurro (S. Andrea, figli di militari A.M.) Sono stati parecchi anni di buona collaborazione e piano piano di sincera amicizia reciproca apprezzando la vostra generosità nell’impegno sportivo e umano (studio, lavoro, famiglia, ecc.) A distanza di tanto tempo stiamo constatando piacevolmente come lo sport praticato per offrire ai ragazzi un sano divertimento e non per il risultato fine a sé stesso, sia stato strumento per instaurare sentimenti di amicizia sinceri e duraturi ancora oggi. Vi assicuro che vi porto tutti nel mio cuore come “i cari ragazzi del Villaggio Dalmazia”.

Zanghirella Ausilia

Sono nata a Dignano d’Istria nel 1938. Ausilia racconta così il periodo antecedente la partenza avvenuta nel 1950 con il resto della sua famiglia: «La mia famiglia era composta da mio papà, mia mamma e sette figli, io ero la terza e all’epoca a Dignano quando siamo venuti via vivevamo in via Stancovich 338. Mio papà ha perso il lavoro perché i Sansa, possidenti terrieri e industriali del luogo, furono imprigionati e poi sono venuti via. Cercava lavoro, ma non lo trovava perché i titini che erano arrivati non avevano riconoscenza nessuna e cercavano di mettere il bastone tra le ruote agli italiani, anzi si spingeva la gente ad andare via…. mi ricordo che mio papà non voleva partire perché diceva che lì aveva una casa, la nostra casa al piano terra nella sua semplicità di una casa vecchia di una volta… ma lui avendo quattro femmine, Lucia, io, la Giuliana e la Maria, il suo sogno era fare nella nostra entrata una grande sartoria, tanto che aveva preso anche una macchina da cucire Necchi, che ora sta da mia sorella a Torino che costava 1.500 lire e tutti i giorni dovevamo imparare a pedalare così ci veniva la voglia[…] Mia mamma tutte le mattine diceva «sono andati via questi sono andati via quelli» e lui «io non parto qui ho una casa e un tetto, andiamo di là vedrai che ti mettono in tre quattro metri, questa sarà la nostra vita» e stentava, cercava lavoro e ha accettato anche di mettere in giro la fotografia di Tito sulle vetrine delle botteghe che erano tutte vuote. Un tizio che ha incontrato per strada, un bumbero, gli ha detto anche che era diventato comunista. Mia mamma voleva partire e insisteva molto con mio padre sul fatto che tutti stavano partendo. Mio padre dal canto suo, benché non fosse un contadino, aveva un po’ di campagna e contava anche su questo per andare avanti. Poi c’è stato il famoso ’48, dove mancava assolutamente tutto, mancava anche il pane e davanti a questa cosa sembrava che mancasse tutto. Mia mamma spingeva a partire perché all’epoca se andavi in chiesa eri perseguitato, non è come i comunisti di adesso che in chiesa sono in prima linea e diceva sempre «cosa saranno i nostri figli senza Dio?» finché mio papà un giorno ha deciso di optare. Come ha optato ci hanno buttato fuori di scuola, mio fratello Giovannino era sempre il primo della classe, come premio per una borsa di studio era stato anche a Zagabria … Mi ricordo l’atmosfera che si viveva in casa, è stata una sofferenza assoluta, se penso che poi nel 1948 era nata anche Lidia. Ci fecero partire in treno a mezzanotte di nascosto. Andammo alla stazione con i carretti trainati con i somari e andando via mio padre ci disse: «guardate Dignano che non lo vedremo più» e poi «non si piange perché povero chi si gratta per piangere, bisogna guardare sempre avanti». Ottimista anche in una situazione come quella. Della partenza mi ricordo anche quando si facevano gli scatoloni, quando i titini venivano in casa e ci trattavano male, ci fecero disfare le casse con cui noi riuscimmo a portare via anche un po’ di roba».

Mi chiamo Mario Fazio e questa è la storia della mia famiglia.

Nel 1947 mio padre arrivò alla Caserma Perrone di Novara come profugo da Tunisi. È stato lì che ha incontrato mia madre, una rifugiata greca che aveva già un figlio piccolo. Nel 1952 è nato mio fratello Salvatore e due anni dopo, nel 1954, sono venuto al mondo. Siamo cresciuti tutti insieme in un campo profughi, ma la vita era tutt’altro che facile. Mia madre fu ricoverata in sanatorio e io fui mandato all’orfanotrofio di Viale Giulio Cesare. Tuttavia, nel 1956, ci fu assegnata una casa nel Villaggio Dalmazia e la nostra vita cambiò. Nel 1959 nasce il mio fratello più giovane Aldo. Mio padre aveva trovato lavoro come muratore e questo era l’unico sostentamento della nostra famiglia. Ma nel 1963, a causa dei noti avvenimenti politici tunisini, mio padre ospitò le sue sorelle e i loro figli e mariti, in totale 11 persone, tutte provenienti da Tunisi. Abbiamo dormito in uno spazio di meno di 50 metri quadrati con 17 persone per oltre sei mesi, finché mio padre trovò loro una casa fatiscente a Pernate che aiutò a sistemare.

Al villaggio la mia vita è cambiata ancora di più. C’erano persone provenienti da molti paesi diversi, ma con un alto grado di civiltà. L’integrazione è stata facile, poi è arrivato l’asilo, la scuola e il lavoro. Posso dedurre che sulla base delle sofferenze passate, è iniziata una nuova vita, con una nuova famiglia, moglie e figli. Questa è la storia della mia famiglia e di come abbiamo superato le difficoltà per trovare al felicità.

Mi Chiamo Luca Mersich

Ero soltanto un bambino di sei anni quando giunsi al villaggio Dalmazia per stabilirmi in Via Asiago 1, proprio durante i preparativi per la Pasqua del 1970. Mentre i miei genitori si occupavano del trasloco, io e i miei fratelli scendemmo a giocare con gli altri bambini del quartiere. Il primo a cui mi presentai si chiamava Marco, e presto feci la conoscenza di altri bambini, maschi e femmine. Così trascorremmo la primavera e l’estate a giocare a nascondino, ladri e poliziotti, salta cavallina. Mi integravo perfettamente anche con bambini più grandi di me, come Rolando Sardi, Fulvio Mancini, e molti altri. Ero davvero felice di essere approdato in un quartiere dove avevo trovato allegria, amicizia sincera e un senso di appartenenza. Nonostante le nostre risorse limitate, condividevamo tutto. Il 2 ottobre, ho iniziato il mio percorso presso la scuola elementare “Niccolò Tommaseo”. Nel corso degli anni, ho vissuto una crescita sia personale che professionale, spostandomi per ragioni di lavoro. Nonostante le distanze fisiche, il mio cuore e il legame con il mio villaggio d’origine sono rimasti saldi. Questa realtà è condivisa da molti che, pur vivendo altrove, tornano regolarmente per riconnettersi con gli amici d’infanzia. Con il passare del tempo, ho sperimentato una profonda trasformazione interiore, ispirata dalla mia conversione all’evangelismo. Attualmente, mi dedico come predicatore del Vangelo e seguace di Gesù Cristo, impiegando il mio tempo nel sociale per aiutare chi ne ha bisogno. Nonostante le mie attività e gli anni trascorsi, il mio legame con il villaggio è rimasto saldo, e ancor oggi risiedo qui con mio papà, che, come tanti altri di qui, è nato a Fiume e conta novant’anni. Ricordo con affetto i momenti trascorsi al circolo, quando per imparare, frequentavo amici più grandi come Aris, Andrea, Bruno, Iosca e Rino. La loro presenza era accompagnata da canti, e quando non andavo a ballare, trascorrevo piacevoli momenti in loro compagnia. La loro presenza era sinonimo di allegria, condivisione di cibo e bevande. Allo stesso tempo, mi appassionava insegnare e, in tal caso, frequentavo anche i più piccoli. Pertanto, sono profondamente orgoglioso di far parte di questa comunità, preservando ancora oggi i miei valori e la mia fede, contribuendo in modo significativo al tessuto sociale del villaggio

 Mi chiamo Giorgio De Cerce

e sono nato a Zara (ora Zadar, in Croazia)

nel 1944. Mio padre Alberto, agente della Polizia Stradale di Zara, era il portaordini del Governatore della Dalmazia, Bastianini. Zara aveva subito importanti bombardamenti nel 1943 da parte dell’aviazione anglo – americana che l’avevano distrutta quasi completamente con oltre 4000 morti: è successo per Zara quello che è successo per Dresda in Germania e per questo viene chiamata “la Dresda dell’Adriatico”. Nonostante con l’armistizio di Cassibile l’8 settembre 1943 sia stata proclamata la cessazione delle ostilità da parte del Governo Italiano nei confronti di tutti i suoi belligeranti, i partigiani jugoslavi sono entrati nelle città italiane in Istria, Fiume e di tutta la Dalmazia con l’intento di effettuare una pulizia etnica. Zara è stata abbandonata dalle autorità italiane il 30 ottobre 1944 e da quella data sono entrati i partigiani. Mio padre, avendo la coscienza tranquilla e mia madre incinta, è rimasto in città ma è stato internato in un campo di concentramento jugoslavo, forse sulle isole Incoronate e da lì non è più tornato. La città di Zara aveva 33.640 abitanti nel 1913 (sotto l’Austria) con l’83% di etnia italiana, ridotti a 21.372 nel 1938 e 9500 nel 1945. Sono stati fucilati, annegati, uccisi dai partigiani jugoslavi 900 persone, deportati 435, arruolati a forza nell’esercito jugoslavo 2000 persone. Rimasero soltanto 12 famiglie italiane. Mia madre chiese di rimanere italiana optando per la cittadinanza italiana. Poiché l’opzione doveva essere decisa dalle autorità jugoslave, le venne concessa solo nel 1947 (anno in cui siamo venuti in Italia), facendosi nazionalizzare tutti i suoi beni. La provincia di Zara, la più piccola delle provincie italiane nel 1930, cessò praticamente di esistere il 10 febbraio 1947, quando non rimase nessun funzionario italiano. Ricordo che a Novara c’è un altro testimone dei gravi fatti accaduti in quegli anni: il presidente ANVGD, Nini Sardi, è scampato alla strage di Vergarolla, vicino Pola, avvenuta il 18 agosto 1946 e costata la morte di 64 persone, molti dei morti erano bambini. Alcuni “combattenti” comunisti hanno fatto saltare degli ordigni bellici presenti sulla spiaggia, in prossimità del luogo dove si stavano svolgendo gare di nuoto). È stato un episodio di terrorismo simile a quello che si è verificato in occasione della maratona di New York.

Rino Perovich

Arrivo a Novara nel ’56 o ’57, e arrivo qui al Villaggio Dalmazia. Non so quanto tempo restammo a Tortona nel campo profughi. Siamo rimasti lì finché non ci hanno assegnato le case. C’era un concorso per uscire dal campo, dove allora ti davano 50.000 lire, e non avevi più il diritto di restare nel campo. Ma loro hanno fatto questa gara per prendersi le case qui a Novara al Villaggio Dalmazia – perché le case le avevano fatte loro da tempo, con l’aiuto degli americani e dei canadesi che avevano dato i fondi all’Istituto Autonomo per l’Edilizia Pubblica, e loro aveva costruito queste case. Per ottenerli bisognava fare domanda tramite un bando, ed eravamo in cinque e siamo riusciti ad avere le case. Le strade non erano asfaltate e quando pioveva si trasformava in fango. Tornavo a casa e mia madre mi diceva di togliermi le scarpe! E dentro casa mettevo le pantofole perché mia madre aveva dato la cera al pavimento. Ed era desolato, senza piante, senza niente, solo queste case e il fango. La nostra chiesa era un garage, ricordo che quando i miei parenti venivano a trovarci, chiedevano se avevamo un garage! E infatti si trattava di una costruzione che esiste ancora oggi: davanti alle scuole si trova l’ex chiesa. E al Villaggio c’era questo fattore, che erano le case, il fango… Le case erano nuove, sì, ma eravamo in cinque in cinquanta metri quadrati. Il mio fratello più piccolo ha dormito con i miei genitori, mio ​​fratello ha dormito in soggiorno e io ho dormito in questo piccolo corridoio con l’altro letto. E noi vivevamo lì… Avevamo lo “spaher”, che era la stufa a legna e carbone, e andavamo a comprare il carbone. Durante l’inverno la casa si riscaldava con lo “spaher”, e sopra questo “spaher” si cucinava, c’era il riscaldamento e dietro c’era un tubo. Mio padre aveva comprato un tubo con due uscite che andava nel camino così da riscaldare anche il resto della casa.

Palermo Pier Marco

Originario del sud Italia con la mia famiglia mi ritrovo bambino a Novara al Villaggio Dalmazia. La prima sensazione che percepisco è di ritrovarmi in terre diverse, terre fredde. Il caso mi accosta ad altre famiglie provenienti da lontano, da ex territori italiani e capisco che anch’esse si ritrovano in terre diverse, terre fredde. Tramite attività aggreganti quali la scuola, lo sport ed altro mi confronto con realtà autoctone, distaccate, impenetrabili. Mi confronto altresì con una nuova realtà creatasi da fenomeni quali immigrazione, esuli da lontane terre patrie, profughi costretti a lasciare i propri averi; realtà multiculturale. Nasce la simbiosi. Vivere le stesse esperienze, confrontare le idee, trarre emozioni positive, avere lo stesso ottimismo, condividere esperienze di valutazione sfavorevoli mi ha permesso di riuscire a far parte di un Gruppo, quindi di entrare a far parte della Comunità’. La comunità del Villaggio Dalmazia. Sono trascorsi 70 anni.

Gioria Claudio

 Claudio Gioria nato a Fiume nel 1936, madre fiumana e padre biellese, prima finanziere in servizio al porto e poi bidello, è giunto a Novara nel settembre del 1947. Sulla partenza da Fiume racconta: «Mio padre faceva il bidello in una scuola elementare che aveva cinque classi italiane e cinque croate. Nella scuola avevamo un piccolo appartamento e io mi ricordo che la mattina mi alzavo presto con mia madre per accendere le stufe. Quando abbiamo deciso di venire in Italia hanno tolto subito il lavoro a mio padre e siamo finiti per strada. Per fortuna avevamo una zia che ci ospitò in una stanzina fintanto che arrivarono i documenti per andare via da Fiume. Il giorno in cui siamo partiti me lo ricordo ancora; era l’ultimo treno che partiva, in quanto le partenze furono bloccate sino al 1948. Mentre partivamo mia madre piangeva, il mio cagnolino che correva lungo la pensilina l’avevamo abbandonato in quanto non potevamo portarlo con noi. Quel treno li è stato un tormento, non arrivava mai, buio, stazioni in cui si fermava. Una volta si fermò in una stazione prima di Trieste e fecero scendere mia madre dal treno mentre mio padre lo portarono in un altro posto. La fecero spogliare in una casermetta che c’era nei pressi della stazione. Mia mamma disse: «ma cosa volete che portiamo via siamo gente normale»>. Non l’avesse mai detto… poi finalmente salimmo di nuovo in treno. Alla fermata successiva si sentii una voce: polizia italiana»29. La pressione psicologica esercitata dalle autorità jugoslave fu totale e continua in ogni circostanza, come una sorta di pena accessoria rispetto a quella principale, quella fisica del distacco.

Lettera al Villaggio Dalmazia del primo farmacista

         Quando mi dissero “ecco le chiavi della farmacia della Villaggio” guardai il mio interlocutore con stupore. Prima di allora avevo appena sentito nominare il Villaggio, ubicato com’era all’estrema periferia della città, confinante con campi di granoturco e circondato da piccoli orti ben curati. Arrivai in una limpida mattina di marzo che consentiva una impagabile vista sulla catena del Monte Rosa. Ad attendermi c’era un gruppetto di curiosi, venuti a vedere il “Dottorino” (nuovo Dottore) così gli abitanti chiamano il giovane farmacista loro che, profughi dell’Istria, Fiume e Dalmazia, hanno costituito qui la nuova dimora. Abbiamo cominciato a conoscerci, dialogare ed il loro abituale “COMANDI!” mi è diventato familiare. Ho iniziato così ad assaporare la dolcezza di essere del “Villaggio”. Ed è stato un privilegio amare le persone viso per viso, distinguere ad una ad una le case, le strade, le piazze. In città strade e piazze sono di tutti, al Villaggio i luoghi si posseggono come fossero luoghi di origine. Se i muri della farmacia potessero parlare, racconterebbero le storie più diverse: quelle di gioia, generosità umanità, si alternerebbero con contrasti struggenti ad altre tristi, dolorose, drammatiche. Ma anche tenere, come quella della signora Adolfa che, i capelli bianchi raccolti sulla nuca, arrivava puntualmente alla apertura pomeridiana col vassoio del caffè, coperto da una tovaglietta appena stirata. Così mentre mi affannavo a spedire le ricette dell’ambulatorio appena iniziato, lei con le mani ben salde sui fianchi mi fissava in silenzio con l’aria un po’ stizzita, come se volesse dire “si sbrighi il caffè si raffredda!” Da allora sono passati più di venti anni e la periferia e la farmacia hanno subito inevitabili mutamenti. Mi piace ricordare così il Villaggio e ringraziare gli abitanti, perché ho ricevuto più di quanto mi aspettassi. Ora sul tramonto infuocato che chiude il giorno, penso già al domani. Quale nuova storia mi racconterà?

Paolo Picciolo                                            

Mia madre, Lidia Petricich, è nata a Fiume il 2 Dicembre 1910. Naturalmente parlava l’italiano, oltre al dialetto fiumano, mai abbandonato, ed a qualche parola di serbo-croato, raramente utilizzato per l’odio profondo che nutriva per quelli che avevano rubato all’Italia la “sua” città.

Subito dopo la presa di Fiume da parte della Jugoslavia, all’inizio del 1946, si recò presso il comando dell’OZNA (la polizia segreta di Tito) per chiedere notizie di alcuni conoscenti che erano scomparsi e fu trattata in modo beffardo da Oskar Piskulic, detto Zuti, che dell’OZNA della zona di Fiume era il comandante. Senza riflettere e spinta dal suo carattere combattivo non esitò ad afferrarlo per il bavero della giacca, scuotendolo con forza ed insultandolo: il risultato fu che dovette scappare da Fiume immediatamente per non finire infoibata. Infatti mia madre fu tra i primi “profughi” ad arrivare in Italia, presso la caserma Perrone di Novara, all’epoca adibita a “campo profughi”. Era il mese di Maggio del 1946.

Mio padre, Giorgio Ventura, è nato a Smirne, in Turchia, il 26 Gennaio 1908, dove suo padre, Natale, lavorava presso le ferrovie locali. Visse a Smirne fino a 1922 e poi la famiglia si trasferì a Rodi, dove visse fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Parlava correntemente greco e turco, oltre al tedesco ed al francese che apprese in seguito. Arrivò a Novara e nella caserma Perrone alla fine del 1947, come “italiano rimpatriato dall’estero”. Nella caserma Perrone conobbe mia madre, poiché ambedue avevano accettato di lavorare nella mensa speciale, dove si preparava il cibo per malati, donne incinte e persone di salute cagionevole.

Nel 1948 arrivarono in Italia anche mia nonna, Luigia Rigoni vedova Petricich, e mia zia, Enrichetta (Meri) Petricich.

L’11 Agosto 1949 nacqui io, che parlo, leggo e scrivo quattro lingue: italiano, inglese, francese e spagnolo. Mentre l’anno successivo mia zia Meri conobbe e sposò un altro “italiano rimpatriato dall’estero”, Luigi Ventura, che per puro caso, aveva lo stesso cognome di mio padre. Nato in Sicilia e poi trasferitosi con la famiglia a Tunisi, in Tunisia, parlava italiano, arabo e francese.

Antonio Sardi, “Nini”: Una Vita Dedicata alla Nostra Comunità

Antonio Sardi, noto affettuosamente come “Nini”, ha incarnato per molti anni l’essenza dell’impegno e della dedizione come presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVG) sezione di Novara. Accanto a lui, un gruppo di ex consiglieri, tra cui Andrea Delton, Ottavio Lucchetto, Gina Decleva, Bruno Decleva, Rinaldo Perovich, Edoardo Lenaz, Rino Breccia e altri, hanno unito le forze per contribuire significativamente alla crescita e al benessere della nostra comunità.

Nato a Visignano D’Istria, “Nini” si trasferì giovanissimo a Fiume, dove trovò impiego nel catasto. Il dopoguerra lo costrinse a lasciare la città a causa delle drammatiche vicende legate al confine orientale. Accolto inizialmente al campo profughi dell’Aquila e successivamente presso la caserma Perrone di Novara.

La sua storia personale, segnata dalle difficoltà e dalle sfide, non ha mai scalfito il suo amore profondo per la terra d’origine. “Nini” ha portato con sé il bagaglio delle proprie esperienze, trasformandolo in un motore per il bene della comunità che lo ha accolto.

Ciò che emerge con forza nel ricordo di Antonio Sardi è il suo costante impegno nella nostra comunità. La sua presenza attiva ha ispirato e guidato, diventando un faro per coloro che cercavano orientamento. La dedizione di “Nini” non si è fermata alle semplici responsabilità associative; ha lavorato instancabilmente per preservare e diffondere la storia della sua terra, garantendo che le nuove generazioni conoscessero le radici e le sfide affrontate.

La sua particolare attenzione alla tragedia delle foibe ha trovato espressione concreta attraverso numerosi progetti. La sensibilità di “Nini” nel trattare questo tema delicato ha contribuito a far emergere la memoria storica, promuovendo la comprensione e il rispetto tra le persone. La sua capacità di trasmettere emozioni e conoscenze ha lasciato un’impronta indelebile nelle menti di coloro che hanno avuto il privilegio di incontrarlo.

Collaborare con Antonio Sardi in questi ultimi anni è stato un onore. La sua saggezza, la sua passione e il suo impegno hanno arricchito il tessuto della nostra comunità, lasciandoci un’eredità di valori e ideali che continueranno a guidarci nel futuro. “Nini” ha dimostrato che, nonostante le avversità, è possibile costruire un legame duraturo con la propria terra, mantenendo viva la fiamma della memoria e della speranza per le generazioni a venire. 

La targa commemorativa

La targa commemorativa dei profughi istriani, fiumani, dalmati e rimpatriati è stata commissionata dall’ex presidente Nini Sardi. Egli ha chiesto l’aiuto dei suoi figli Antonio e Rolando, i quali hanno progettato la targa utilizzando un computer Macintosh. Successivamente, la realizzazione fisica è stata affidata a un marmista.

Il Labaro

L’ANVGD, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, è una delle associazioni che hanno ricevuto il Labaro. L’associazione, fondata nel 1947, rappresenta i profughi e gli esuli dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, che furono costretti a lasciare le loro terre a seguito della Seconda Guerra Mondiale.


Il Calendario

La nostra comunità ANVGD ha avuto il privilegio di realizzare per la prima volta un calendario che celebra la nostra storia di esuli, con foto simboliche e significative che fanno parte del nostro patrimonio. Questo speciale progetto è stato realizzato in collaborazione con la Parrocchia della Sacra Famiglia del nostro Quartiere, aggiungendo un importante valore spirituale al nostro lavoro.

Un cuore al quadrato

Questa rappresentazione aerea offre una visione unica del nostro villaggio, con le case di 302 famiglie che hanno contribuito a plasmare la nostra comunità. Ogni scala è contrassegnata con il nome della famiglia che vi risiede, offrendo uno sguardo tangibile alle radici e alla storia di ogni nucleo familiare.

ANVGD Novara con Internet

Anche la Associazione ANVGD di Novara ha creato la sua pagina in Facebook che ci informa di tutto. Fa parte della grande famiglia con la capostipite a Roma

Il Villaggio Dalmazia nei Social

Con l’avvento di Internet, il Villaggio Dalmazia si è adattato creando una pagina dedicata a tutti i simpatizzanti della nostra comunità.

Il Passato e il Presente:

Col passare del tempo, molti residenti e nativi del Villaggio Dalmazia si sono trasferiti, alcuni persino fuori da Novara. Questo ha portato alla perdita di contatti e alla dispersione della comunità. Tuttavia, l’idea di Roberto Perovich ha cambiato tutto. Ha mantenuto un gruppo sociale su Facebook, inizialmente chiamato “Dalla Caserma Perrone al Villaggio Dalmazia”, che poi è diventato “Villaggio Dalmazia 2.0”. Infine, è nato il gruppo “Villaggio Dalmazia 100”, un numero che rappresenta sia i membri che le nostre contraddizioni, unite dal glorioso passato. Lo scopo esclusivo di questo gruppo è la condivisione di informazioni, il divertimento e la celebrazione di tutto ciò che noi, “del Morbin”, sappiamo fare: allegria in tutte le sue forme.

Zara Film: Un Capolavoro Visivo

In concomitanza con il gruppo, è nata anche Zara Film, con l’obiettivo di rendere visibili tutti gli avvenimenti. Zara Film ha prodotto oltre 350 video di diversi generi e durate. Non c’è evento comune o data in cui Zara Film non sia presente con il suo regista e le sue attrezzature compreso un drone. Uno dei capolavori in cui tutto il Villaggio Dalmazia (vecchio e nuovo) ha partecipato è intitolato “Ricordo”. Questo film è stato presentato in occasione del 10 febbraio, alla presenza delle autorità. Gli autori di questo piccolo gioiello sono stati: Diego, detto Dieghin, per la scrittura; Piermarco, detto Pier, per la recitazione; Guerrino, detto Guerin, per l’assistenza alla produzione; e infine, Roberto Perovich (Roberto Pi), detto Robi, alla regia.

Un Grazie Sincero

Alcuni lavori della Zara film

               Ricordo (con libretto)        Corsa      Villaggio canta   Zaratini      Muli 43  Bruno   Ervino  Luciano   Anvgd in corsa

                                  A cura di:

Flavio Ottavio Bruno Emilia Fulvia Giorgio DC

Adelia Giorgio F. Roberto Elvio Giuseppe

Boris Ileana Rolando Silvano